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Filosofia minima

Democrito un po' citato a caso

di Armando Massarenti

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31 gennaio 2010

Nei processi evolutivi le alterazioni nel Dna, scriveva Jacques Monod, «sono accidentali, avvengono a caso. E poiché esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell'organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all'origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell'evoluzione». Parole di un biologo, un premio Nobel, che sembrano però riecheggiare il clima esistenzialista di quegli anni. Forse è anche per questo che il titolo di uno dei libri più influenti della storia della biologia, Il caso e la necessità, (secondo forse solo all'Origine delle specie di Darwin) è derivato da una citazione apocrifa, posta come distico iniziale insieme ad Albert Camus che ci invita a «immaginare un Sisifo felice». «Tutto ciò che esiste nell'universo è frutto del caso e della necessità». Ecco cosa Monod fa dire a Democrito. È un "errore" illuminante, almeno a dar retta al matematico e biologo Antoine Danchin che, tra i molti studiosi che hanno criticato Monod, è uno dei più interessanti e costruttivi. Il Caso, inteso alla Monod, del tutto estraneo al pensiero greco. Leucippo, Democrito e Lucrezio avevano capito che esiste una legge che informa la materia ma che «questa legge non può che essere il risultato di un "principio costruttivo" e non la rivelazione di una forma preesistente con una sua intrinseca autonomia e una propria vita». «I modi in cui le forme del vivente possono essere combinate sono il risultato di una gran quantità di vincoli organizzati». Dunque la vita non è così «improbabile» come voleva Monod. Ci sono leggi e forme di base da cui dipende tutto il resto. L'emergere di sempre nuove forme è necessaria, inevitabile ma anche priva di qualunque finalità. In questo l'atomismo degli antichi e l'evoluzionismo di oggi si assomigliano. Nessuno dei due ha bisogno di ricorrere a una qualche finalità, a qualche principio teleologico, per spiegare l'insorgenza dell'ordine e insieme del cambiamento e le leggi che li sottendono. Pensare che ciò che ci circonda, e in particolare la vita, abbia un fine, o che ci siano, aristotelicamente, cause finali, è molto più naturale che pensare che non ce ne siano: cioè che ciò che è necessario non necessariamente abbia un fine. Monod lo sapeva bene. Solo che sembrava pensare al Caso come a un'assenza di cause, mentre dovrebbe essere chiaro, proprio a partire da Democrito, che si può dare causalità anche senza finalismo. E che, in definitiva, gli atomisti non solo non erano aristotelici, ma neppure esistenzialisti!

31 gennaio 2010
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